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Il temperamento del bambino nella diade madre-figlio

Ogni bambino viene al mondo con un proprio "portato", un'indole del tutto peculiare che rappresenta il punto di partenza per lo sviluppo successivo del carattere. I bambini fin dal momento della nascita non sono uguali tra di loro, c'è chi è più avvezzo alla richiesta di contatto, chi sembra invece godere di maggiore tranquillità senza la necessità di dover stare tra le braccia della mamma per sentirsi costantemente al sicuro; c'è chi si irrita con facilità e chi invece mostra tratti più pacati. Questo è il temperamento. Il bambino nasce dunque con un temperamento, non con un carattere.


L’incontro che la mamma si accinge a vivere con suo figlio al momento della nascita, è un incontro in piena regola tra due persone. Un grande, più o meno sintonizzato con se stesso e più o meno consapevole del proprio reale grado di adultità, e un piccolo che si trova all’inizio del suo sviluppo e che pur non riconoscendosi ancora come persona - il neonato non sa di essere un essere separato dalla mamma - è già dotato di caratteristiche proprie.


Queste ultime si snodano lungo alcune assi che definiscono il temperamento del bambino e che possiamo chiamare reattività emotiva, vulnerabilità e irritabilità.


La reattività emotiva ci parla dell’intensità delle risposte emotive del piccino alle stimolazioni ambientali. Alcuni bambini rispondono a fonti di malessere con un'alta reattività emotiva, altri con reazioni più pacate. Per esempio dinnanzi all'eccessivo rumore con cui fin troppo spesso i neonati vengono accolti nelle sale parto, alcuni reagiscono attraverso le classiche reazioni corporee che veicolano l'emozione della paura, quali l'irrigidimento del corpo, l'aggrottamento del viso e l'allontanamento dello sguardo, mentre altri, pur trovandosi a tu per tu con le stesse condizioni ambientali, non reagiscono con la stessa intensità emotiva.


La vulnerabilità è invece “la propensione, a sentirsi a disagio, colpiti, attaccati o delusi dal comportamento altrui” (Scardovelli, “Subpersonalità e crescita dell’Io). Ora un neonato vulnerabile reagirà per esempio ad un allontanamento temporaneo dalla propria mamma con maggiore intensità rispetto ad uno meno vulnerabile, malgrado l’esperienza di separazione non dovrebbe in nessun modo venire proposta se non in casi di reale necessità, in quanto comunque di fortissimo impatto emotivo per una creatura appena nata che per sua natura ricerca il contatto con la sua fonte primaria di protezione e accudimento.


L’irritabilità si riferisce invece alla tendenza a reagire con rabbia e aggressività alle stimolazioni esterne. Un neonato con un alto grado di irritabilità avrà la propensione, rispetto ad altri neonati meno irritabili, a reagire a più stimoli non graditi e lo farà con più intensità, e dunque piangendo per esempio con più forza e più a lungo.


Tutto questo è temperamento, non carattere. Quest'ultimo possiamo definirlo come il risultato dell'interazione tra il temperamento del bimbo e l'ambiente in cui vive, e dunque viene a formarsi con il tempo e nel tempo viene a accumulare forza fino a cristallizzarsi. Ma come mi piace ricordare ai miei pazienti "nulla si fissa per sempre, c'è sempre una trasformazione che può essere messa in atto, e per far ciò servono volontà ed impegno".

Il primo ambiente con cui interagisce il bambino è la madre -o per lo meno ci si auspica che lo sia- vista la grande importanza che rappresenta per il piccino ritrovare nella vita extrauterina colei che ha messo a disposizione del figlio il proprio utero, luogo non solo fisico ma anche ambiente emotivo all’interno del quale al bambino è stata data l’opportunità di svilupparsi, non solo fisicamente.


Ed ogni mamma come ogni figlio presenta delle caratteristiche del tutto proprie che la distinguono dalle altre mamme e la rendono unica tra tutte. Queste caratteristiche parlano della donna che è oggi, con i suoi punti di forza e le sue debolezze ma anche della bambina che è stata, figlia anche lei, come lo è il suo piccino.


E dunque è bene ricordare alle mamme qualcosa che troppo poco spesso viene detto loro: quando si parla di diade mamma bambino, la mamma deve ricordarsi - soprattutto dinnanzi alle difficoltà- che questa entità fatta di due, parla un linguaggio bidirezionale: ciò significa che non si tratta di un mero passaggio di consegne tra lei e suo figlio, non stiamo parlando di un modo di essere della mamma che viene a plasmare quello del figlio come se il piccolo fosse una tabula rasa; il rapporto che si viene a instaurare non dipende esclusivamente dal modo della donna di porsi nei confronti del figlio - anche se indubbiamente un atteggiamento di apertura e ascolto sono indispensabili e vitali per il benessere del bambino- ma piuttosto dipende da come entrambi riescono ad entrare in relazione l’uno con le caratteristiche dell’altro, di come riescono a stare insieme per edificare qualcosa di sano nonostante le possibili difficoltà.


E dunque il sistema che vengono a creare insieme è un sistema aperto e co-regolato in cui il risultato dell' interazione tre le due parti è dato in primis da come, ognuno di loro con le proprie caratteristiche, riesce a entrare in relazione con l’altro. A volte è più semplice altre è molto difficile.


Immaginiamo un bambino per natura calmo, con buone capacità di autoregolazione, piange sì ma si calma quasi subito. Questo bambino sceglie una mamma che per indole è ipersensibile e che a ogni piccolo richiamo del figlio percepisce una sorta di agitazione interna che la mette sul chi va là molto frequentemente. Ora immaginiamo lo stesso bambino, con una mamma più sicura. Molto probabilmente non risulterà difficile immaginare i due scenari, due scenari diversi che daranno vita a modi diversi di stare in seguito nel mondo.

Certamente in tutto questo discorso non dobbiamo perdere di vista il fatto che in questa relazione così delicata quanto fragile, l’adulto è uno ed è il genitore. È a lui che viene chiesto di sintonizzarsi sull'altro; è lui a doversi chinare, mettersi sul livello del figlio, alla sua altezza soprattutto nei primi anni di vita. E questo perché i comportamenti di cura e accudimento presuppongono la capacità di rivelare segnali emozionali ovvero la capacità di sapersi connettere empaticamente con il proprio bambino; e questa è una capacità che il bambino arriva a sviluppare nel tempo se viene accompagnato in questo dall’adulto, ma di cui non dispone nei primissimi anni di vita. Sta dunque al genitore mettere in campo queste qualità.


In ultimo ma non per importanza è sempre bene chiedere sostegno quando si è in difficoltà, a volte basta poco, molto poco, per stare meglio nella relazione e vivere più serenamente la maternità, ma di questo vi parlerò in un altro articolo.

Felice estate a tutti voi!

Wilma

La Vita Dentro


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