Genitorialità 3.0-tuo figlio ha un messaggio per te-
"Ai miei tempi a scuola non era permesso mettere in discussione ciò che diceva il maestro", "i figli di una volta eccome se ubbidivano ai loro genitori, se provavano a ribellarsi, eran botte"; "la generazione di oggi sta venendo su senza regole, dove andremo a finire?", "a tuo nonno bastava lanciarci un'occhiata delle sue e tutti rigavano dritto".
Che venga da nord o da sud, da est o da ovest, questa è l'aria che tira. Ed il vento, pronunciando queste parole che giungono alle nostre orecchie, non fa altro che rinforzare in noi quel mito sulla genitorialità - tanto vivo allora come oggi- secondo cui il rapporto tra genitori e figli è, e deve essere un rapporto unidirezionale.
Dal grande verso il piccolo. Il grande insegna, il figlio rispetta; il grande dice come si fa, il piccolo impara da lui a fare.
Con il termine "unidirezionale" mi riferisco al fatto che, a livello inconscio siamo guidati da una voce che ci dice che è compito del genitore, portare semi di insegnamento ed educazione nella vita del figlio; in altre parole questa voce ci viene a dire che spetta solo ed esclusivamente al grande insegnare al piccolo, per esempio indicandogli come è bene che viva il rapporto con il suo compagno di scuola o come si debba relazionare con la maestra.
Una visione a una via però altro non fa che escludere dal panorama la possibilità che anche i nostri figli possano in realtà essere nostri insegnanti.
"Io verso te ma anche tu verso me".
I bambini per la vicinanza che ci offrono tutti i giorni e per la loro purezza, sono gli esseri deputati a farci da specchio, ovvero a farci vedere su quali nostri aspetti -ancora da noi non visti- siamo chiamati a portare la nostra attenzione. Possono aiutarci ad osservare le nostre paure più profonde, attraverso le reazioni che manifestiamo nella nostra interazione con loro.
Facciamo un esempio: mi arrabbio molto con mia figlia perché non riesce a ripetere la lezione di storia (come voglio io), dopo che l'abbiamo riletta insieme più e più volte e domani la maestra la interrogherà. A fronte di questa mia reazione spropositata, potrei domandarmi quanto è importante per me il riconoscimento da parte degli altri (il voto della maestra); quanto a mia volta sono stata soggetta alle stesse dinamiche con i miei genitori, dinamiche che mi hanno resa una persona piuttosto rigida almeno per ciò che concerne lo studio.
Ma prima di procedere facciamo un passo indietro.
Noi genitori siamo certamente chiamati ad accompagnare i nostri figli in questa esperienza di vita, e siamo chiamati a farlo sia attraverso la messa in campo di quelle energie femminili che parlano di accoglienza -“ti sei fatto male? Vieni qui dalla mamma”-, sia attraverso la nostra energia maschile, quell’energia che offre al figlio direzione, regole e argini - “ho detto che adesso dobbiamo andare e andiamo via”-. Oggigiorno, nell’epoca in cui sembra che fin troppo sia permesso, questo ultimo aspetto è importantissimo. Infatti laddove l’adulto non sia abitato da queste qualità che lo portano ad insegnare al figlio che ci sono situazioni in cui non è possibile assecondare la sua volontà, succederà che il bambino, lasciato sempre e comunque libero di fare ciò che vuole, crescerà pensando di essere onnipotente e diventerà un adulto prepotente, incapace di considerare l’altro come un essere dotato anch’egli di una sua volontà e sensibilità, degne di rispetto.
E dunque sì, nella relazione genitore- figlio, certamente il grande è chiamato ad occuparsi del piccolo ma riconoscere la validità di questa affermazione non significa che non possa essere vero anche il contrario.
Perché allora non accogliere questa visione bilaterale?
Fatichiamo a farlo perché questa prospettiva potrebbe suonare bizzarra. In fondo essa viene a dirci che un piccolo potrebbe essere anche più saggio di un grande e questo, al cospetto di chi osserva la realtà con i meri occhi della ragione, potrebbe davvero sembrare una stupidaggine.
Ma perché non provare ad immaginare che invece vi possa essere della verità in tutto questo?
Se riuscissi a concederti questo beneficio del dubbio, potresti per esempio iniziare a domandarti cosa in realtà voglia comunicarti tua figlia quando non fa altro che lamentarsi dalla mattina alla sera. Accogliendo questa prospettiva, potresti interrogarti sul rapporto che tu hai intessuto con la lamentela. Potrebbe il suo continuo lamento rispecchiare ciò che in realtà eviti ogni giorno? Potrebbe voler farti vedere quanto in fondo detesti chi si lamenta perché una voce dentro di te ti ricorda ogni giorno, che certe debolezze non vanno espresse perché esprimendole invece non saresti un buona madre?
…Così una donna che lamentava la grande difficoltà a vivere tra gli incessanti lamenti di sua figlia, ha iniziato a sperimentare; a cimentarsi nell’osservazione di se stessa attraverso quello che amo chiamare con i miei pazienti, il campo delle prove ed errori. Iniziò ad osservare quanto il lamento della figlia unitamente al suo inespresso, in realtà giocassero a braccio di ferro: quello della figlia era esasperato, portato all’eccesso perché quello della madre era assente e la figlia con questo suo comportamento non faceva altro che porgere alla madre uno specchio affinché lei vedesse quanto quel suo silenzio, quel suo non lamentarsi per nulla, dovesse venire da lei in qualche modo ridimensionato, per il suo bene in primis ma anche per il bene del loro rapporto.
E che dire rispetto ad un figlio adolescente che si ribella ai genitori a suon di urla, porte sbattute in faccia e uscite in solitaria? Potrebbe fare da specchio a quella ribellione che invece proprio sua madre non ha osato manifestare ai suoi genitori? Potrebbe questo moto di indignazione del figlio essere così esasperato proprio perché riflette tutta quella mole di rancore sepolto nelle parti più recondite di sua madre?
Potrebbe? Potrebbe.
Come potrebbe essere altro. Del resto non tutti i comportamenti dei nostri figli sono sempre riconducibili a ciò che vive in noi e che noi non abbiamo mai osservato. Altre volte le motivazioni sono di altro tipo, ma iniziare a lavorare su di sé per comprendere poi al meglio l’altro, è sempre una possibilità da prendere in considerazione. Una sana possibilità.
E che dire rispetto ad una figlia alla continua ricerca di attenzioni da parte dei suoi genitori Potrebbe la bambina, comportandosi in questo modo, far da specchio alle mancanze che i genitori hanno nei confronti di loro stessi? Come a dire “ti faccio vedere quanto tu sia lontano dal prenderti cura di te stesso, caro papà; fintanto che non ti occuperai di te stesso, io starò qui a ricordartelo”.
Potrebbe? Potrebbe. Ma tutto dipende da quella bambina e da quel genitore a cui fa da specchio. Non esiste verità assoluta.
E allora proviamo, entriamo nel campo delle prove ed errori, e stiamo inizialmente ad osservare. Senza fretta, senza la pretesa di risolvere tutto e subito. Come dico ai miei pazienti, non credo nelle ricette universali né in quelle pronte all’uso. Pur amando prendere nota di ciò che mi accade nella relazioni con gli altri, di ciò che ha funzionato in questa o in quell’altra circostanza, non amo incasellare le persone né tanto meno le relazioni, per cui no, non ti dirò cosa devi fare con tuo figlio, ma ti accompagnerò a osservarti, misurarti e scoprirti attraverso la relazione che intessi tutti i giorni con colui che ti ha scelta per venire al mondo.
E anche perché come afferma Shefali Tisabary, autrice del libro Guida per Diventare un Genitore Consapevole, “si impara ad essere genitori consapevoli nella pratica concreta dell’esperienza del rapporto con i figli e non leggendo libri che offrono soluzioni facili, o frequentando lezioni specialistiche su tecniche”.
Buon ascolto, buona sperimentazione e buona osservazione.
Wilma Riolo
Psicologa, Psicologa Perinatale e Ricercatrice Indipendente
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