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I consigli non richiesti

Chiedere consigli è lecito e in gran parte questo andare verso l'altro, rimanda alla figura del saggio che veniva interpellato nei momenti di necessità.


Se nutro dubbi rispetto ad una situazione o non so come si fa una certa cosa, posso scegliere di rivolgermi ad una persona verso la quale provo stima, per provare a vedere, o meglio per provare a sperimentare, se ciò che ha da condividere con me, può essermi utile.


A tutti noi è capitato di chiedere consigli.


Domandare all'altro, ascoltare ciò che ha da dirmi e poi scegliere da me se provare a mettere in pratica il suo suggerimento, parla dell'essenza del genere umano che per natura è un essere sociale.


Noi tutti siamo uomini e donne che vivono all’interno di una rete -apparteniamo a gruppi, viviamo in essi, studiamo per tanti anni insieme a molti compagni, costituiamo famiglie, diamo vita a società.. - questa la nostra natura più intrinseca.


E quando si fa parte di una rete, ci sono dei punti precisi - i nodi della rete stessa, che altro non sono che stazioni di incontro, luoghi in cui ramificazioni di una stessa unità si incontrano per scambiarsi informazioni, farsi delle domande, e perché no, chiedere consigli.


E questa rete all'interno della quale interagiamo come esseri umani, ricorda molto da vicino la struttura anatomica delle nostre cellule neuronali.

Queste ultime infatti sono in relazione tra loro grazie ad un complesso sistema di reti che gli permette di adempire alle loro svariate funzioni, tra cui quelle comunicative.


Lo scambio di informazioni, pareri ed esperienze fa dunque parte di noi e le nostre cellule, la loro struttura e il loro modo di funzionare, ce lo ricordano chiaramente.


Ma cosa ne è del consiglio? Di questa parolina che esce così facilmente dalla nostra bocca anche quando non ci è stato richiesto?


Le esperienze che ho vissuto e che continuo a vivere come donna, madre, moglie, amica e psicologa mi hanno portato a comprendere che il consiglio non si dà, il consiglio si chiede.


Attendi che il consiglio ti venga chiesto, non partire in quarta dicendo al tuo interlocutore ciò che faresti

se ti trovassi al suo posto


Attendere che sia l'altro a chiedere un consiglio, non significa praticare il mutismo; significa piuttosto farsi accompagnare -proprio negli istanti in cui siamo in interazione con l'altro- da alcuni principi che incidono sulla qualità delle nostre relazioni.


Vediamo insieme alcuni di questi principi:


Se non sono io a chiederti il consiglio, chi ti dice che io sia disposto ad accogliere le tue parole?



Quando il consiglio ti viene espressamente chiesto, è molto più probabile che chi te lo chiede abbia già creato dentro di sé quello spazio necessario ad accogliere le tue parole: accoglierle significa portarle dentro di sé, tenerle lì un pochino per sentire come risuonano. Tuttavia "probabile" non significa certo, come vedremo tra poco.


Perché menziono il "sentire come le parole dell'altro risuonano in me?".


Perché la possibilità di sentire questo effetto è un aspetto fondamentale del lavoro su di sé in quanto, il fastidio o la rabbia che posso sperimentare, pur avendo chiesto io il consiglio, sono preziosissimi indicatori che mi vengono a dire che è proprio su quel mio aspetto che l'altro ha menzionato e che tanto mi sta disturbando, che sono chiamata a portare la mia attenzione.


Facciamo un esempio: chiedi ad una persona di fiducia "come puoi fare" per alleggerirti almeno un po' dalla fatica d' essere madre. Immagina che questa persona ti porti a riflettere sull'eccessivo sbilanciamento che percepisce in te, tra le tue qualità che parlano di accoglienza e dedizione verso la prole, e quelle che invece dovrebbero nutrire il tuo essere donna (e non solo madre). Se la tua reazione a questa riflessione è di rabbia e ingiustizia verso il contenuto delle parole che ti sono state rivolte, vuol dire che il tuo interlocutore ha fatto centro su uno dei tuoi aspetti che sono in ombra all'interno della tua psiche, ovvero che tu non vedi, che non riconosci come tuoi ma sui quali, proprio perché non li percepisci, sei chiamata a lavorare.


Continuiamo.


Cosa succede invece quando il consiglio non ti viene espressamente chiesto?


Se il tuo interlocutore si ritrova nella situazione di dover ascoltare i tuoi preziosissimi consigli da lui però non richiesti, probabilmente egli non è pronto ad ascoltarti proprio perché in assenza di questo spazio di accoglienza -che nasce quando la richiesta nasce dall'interessato - generalmente non vi è predisposizione all'ascolto.




Si tratta dunque di tenere in considerazione che si può più o meno essere pronti a ricevere consigli.


Se non siamo pronti, con molta probabilità la nostra reazione sarà quella di difenderci da qualcosa che percepiamo come un attacco, come se ci portassimo le mani al volto per difenderci da un oggetto che improvvisamente sta per arrivarci in faccia.


A decidere se lo siamo o no, siamo noi stessi; nessun essere umano è qui per farci cambiare opinione a suon di "ti dico io come si fa", assolutamente nessuno.


Il cambiamento ha un primo avvio nel momento in cui sono io a dire " da questa situazione di dolore voglio uscire, come potrei fare secondo te?


Qui sì, siamo in presenza di una predisposizione a sentire realmente cosa l'altro ha da narrarci, che risulti poi funzionale o meno al nostro benessere ciò che ci dirà il nostro interlocutore, il là viene da te e questo è un ottimo segnale: lo spazio interiore è pronto a farsi più grande; potrà subire delle momentanee chiusure per via della paura al cambiamento, ma l'intenzione che lo sottende è quella giusta perché parte da te.


Se invece parti in quarta senza che l'altro ti abbia chiesto nulla, e gli dici "posso dirti una cosa? Fa' così, ha me ha funzionato!!" cosa ottieni?


Apparentemente ti alleggerisci di qualcosa, ma nella sostanza non offri né a te la possibilità di praticare del sano ascolto, né doni al tuo interlocutore l'occasione di essere ascoltato.


Se sei colto da un irrefrenabile voglia di dire al tuo interlocutore come si fa, stai reagendo ad un tuo dolore


Generalmente quando l'altro ti narra una sua difficoltà ed essa ha a che vedere con una situazione che hai a cuore, succede che all'interno della tua persona inizia a manifestarsi un meccanismo automatico: stai andando in reazione.


Facciamo un esempio molto comune tra le neo mamme: una tua cara amica sta avendo problemi con l'allattamento. Li hai avuti anche tu e quando hai vissuto questa esperienza hai smesso di allattare.


Ascoltare il racconto della tua amica e le difficoltà che sta vivendo, può molto facilmente innescare in te delle reazioni emotive cupe di cui magari non ne sei del tutto cosciente.


Il tuo partire in quarta suggerendole cosa fare, trascurando in questo modo l'ascolto -e questa velocità nell'indicarle cosa fare, parla proprio del tuo stato reattivo in azione - è volto a bloccare la percezione dolorosa che stai sperimentando mentre la tua amica ti parla della sua difficoltà.


Per non sentire tutto quel dolore nascosto dentro di te, ti prodighi a dirle come si fa, e bada bene "io so come si fa!".


Ovviamente ciò avviene se sussiste questo dolore: non dimentichiamoci che non è l’evento in sé a far scaturire l’emozione ma è sempre l'interpretazione che noi diamo a quell’esperienza, a colorarla di certe tonalità piuttosto che di altre. Una donna può sentirsi serena con il fatto di non aver allattato il proprio figlio, per un’altra invece questo aspetto può trasformarsi in fonte di grande disagio.


Ecco dunque un altro buon motivo per iniziare a provare a non precipitarti a dare consigli all’amica se questi non sono stati espressamente richiesti.




Ma c'è un'altra questione di grande importanza:


anche quando è l'altro a chiederci un consiglio, molto spesso ciò che in realtà ci sta chiedendo è conforto e ascolto. Succede infatti che abbiamo disimparato a chiedere aiuto, a dire chiaramente “ho bisogno di essere ascoltata”, e spesso seppelliamo questa necessità domandando all'altro "tu cosa faresti al mio posto?" quando invece vorremmo semplicemente dirgli: "ho bisogno di essere ascoltata e accolta per ciò che sono, resteresti per un po' accanto a me?"


Anche quando è l'altro a chiederti un consiglio, molto spesso ciò che in realtà ti sta chiedendo è conforto e ascolto


Come saggiamente suggerisce Giorgia Sitta, Dottoressa in Psicologia Clinica e studiosa di Alchimia Trasformativa, "comprendere il modo subdolo con cui spesso questo nostro bisogno di ascolto e comprensione viene a celarsi dietro alla richiesta di un consiglio, non è poi così difficile se ci concediamo il tempo di rifletterci un po’ su."


Prova a pensare ad una volta in cui hai chiesto un consiglio ad un’amica e lei ti ha detto esattamente cosa pensava e questo suo modo di vedere la situazione in oggetto non rispecchiava il tuo; cosa è successo? Molto probabilmente il tutto è sfociato in un “tu non puoi capirmi!!!!”.


In queste parole c’è la chiave: ciò che cerchiamo non è tanto la soluzione al nostro problema, ma la comprensione da parte dell’altro.


Eccoci giunti ad un altro dei principi che governano le nostre relazioni.


Il filosofo greco Zenone di Cizio affermava che se Dio ci ha dato due orecchie ed una sola bocca c'era sicuramente un motivo. Potrebbe significare che siamo invitati tutti quanti ad ascoltare almeno il doppio rispetto a quanto parliamo.


Cosa ne pensi?






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Wilma Riolo

Psicologa, Psicologa Perinatale e Ricercatrice Indipendente

Ricevo su appuntamento a Milano -zona Stazione Centrale- e via Skype. 345-7955225 wilma.riolo@gmail.com




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